Games and the City

Vita a Los Angeles, videogiochi e tante altre cose che non c'entrano niente

26 giugno 2008

Aggiornamento culinario


Pare che il suddetto blog di cucina per americani 'nguranti si farà, grazie anche alla gentilezza del mio amico Gareth che ha messo a disposizione una piattaforma e perfino l'assistenza tecnica. Sono anche d'accordo con lui per quanto riguarda l'uniformità dei contenuti su un blog: se qui si parlasse di cucina, questo spazio si chiamerebbe probabilmente "Food and the City". Grande Gareth, mi sdebiterò con un'altra spedizione di salsa barbecue e hickory smoke! Per quanto riguarda il titolo della creatura sono ancora alla deriva, anche se l'idea di Fra di chiamarla "A Pinch of Me" è al momento una delle favorite. Alla richiesta di alcuni di tradurre le ricette in italiano, rispondo che (e qui ve lo dico alla napoletana) nun c'ha pozz' fà... già sarà un miracolo se riuscirò a tenere in piedi due blog, un lavoro e un matrimonio. E poi quelle che posterò sono ricette facili facili che potete trovare ovunque su internet, non avrete mica bisogno di me per fare la pasta e fagioli! Comunque ho avuto la conferma definitiva che questo blog s'ha da fare quando stasera ho visto il nostro ospite da New York cospargere di abbondante pepe nero la mia perfetta pasta al pesto, fatta con tanto amore, con patate e fagiolini e perfino con autentico basilico genovese. Gli ho detto che era scomunicato: nessuna reazione, per forza, è ebreo non praticante. Ho aggiunto che si era giocato il tiramisù che volevo preparare per lui: faccia costernata e "ma io sono americaaaaaano!". Ecco, questa che sono americani è una scusa che deve scomparire dalla portata delle mie orecchie, perchè non ne posso più. Stasera mi sento una fondamentalista della cucina italiana.

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23 giugno 2008

Un'idea che mi gira per la mente


Carissimi (e)lettori lontani e vicini, ho notato che da un pò di tempo il cibo la fa da padrone su questo blog. Non so se esserne contenta o no, perchè da una parte cucinare è una delle mie passioni, ma dall'altra ho creato questo blog per parlare di tutt'altro (inizialmente di videogiochi, poi la parte "ammericana" ha avuto il sopravvento su tutto il resto). Quello che mi (e vi) chiedo ora è questo: e se iniziassi un secondo blog parallelo a questo e dedicato alla cucina? Ci ho pensato un pò e mi sono venute alcune idee. Per esempio, dovrebbe essere in inglese e spiegare agli americani la cucina italiana in stile casalingo, quella cioè che le mamme ci propinano e che è quasi impossibile trovare al ristorante (soprattutto all'estero), con focus soprattutto sulle ricette del Sud Italia. Perciò le attrazioni centrali sarebbero piatti come pasta e fagioli, frittata di cipolle e la mitica pasta e patate. Sarebbe anche un bel modo per me per restare legata alla tradizione culinaria della mia zona d'origine, che rischio di dimenticare tra tutto questo sushi e questi burritos di San Francisco. Una mia amica colombiana aveva perfino suggerito il titolo "Not Pretty, but Tasty", che a me sembrava divertente, visto che effettivamente tutto ciò che cucino ha un buon sapore ma un aspetto orribile (cosa da tenere in conto quando si scrive un blog di cucina, dove le foto rappresentano un aspetto decisamente importante). La fantastica Elena di Comida de Mama però mi ha sconsigliato di usarlo, dal momento che secondo la sua esperienza gli americani capiscono poco l'ironia culinaria e verrebbero allontanati da qualsiasi connotazione negativa. A questo punto lascio la parola a voi, cari (e)lettori: qualsiasi suggerimento è ben accetto.

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21 giugno 2008

Hungry for Change



Non sarò una cittadina americana e non potrò votare per Obama a novembre, ma questa cosa di oggi proprio non volevo perdermela. Ovunque negli Stati Uniti sono stati organizzati banchetti di vendita di prodotti da forno fatti da volontari e il ricavato è andato alla campagna presidenziale di Obama, che tra l'altro ha sorpreso tutti rifiutando i fondi governativi e basandosi unicamente sui contributi degli elettori. Sfidando l'incredibile ondata di caldo che ha colpito San Francisco in questi giorni, mi sono armata di pazienza e di forno e ho preparato anch'io qualcosa per il banchetto del Panhandle, uno dei parchi vicini a casa nostra: focaccia ai pomodorini e cipolle, biscotti salati alle olive e parmigiano, biscotti salati alle erbe e torta caprese. Una sudata epica, ma ne è valsa la pena: in tre ore abbiamo raccolto più di 300 dollari e non so poi con quanto si sia chiuso perchè siamo dovuti andare a una festa di fidanzamento. Le cupcakes e i biscotti con gocce di cioccolato prevalevano sul nostro banchetto, ma la mia soddisfazione maggiore è stata vedere la mia focaccia finire prima di qualsiasi altra cosa: ho capito che i ciclisti affamati preferiscono la sostanza piuttosto che i dolci!

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17 giugno 2008

La sana rivincita contro i francesi



I pronostici favorevoli c'erano tutti: il sole splendeva caldo come se fossimo ai tropici, l'autobus è passato in orario e il Caffè Roma sparava a palla "We are the champions". Non si poteva non vincere, anche se per un pò ho avuto qualche dubbio. La partita non mi ha convinta al 100%, ma è stata comunque un passo da gigante rispetto allo schifo visto la scorsa settimana. E poi, dico, perdere contro la Francia sarebbe stato l'ultimo affronto a una nazione già piagata da disastri di tutti i tipi, dalla spazzatura di Napoli a quella di Arcore (ops, mi è sfuggita). North Beach, il quartiere italiano di San Francisco, si è immediatamente mobilitato per una sfilata improvvisata con bandierone tricolore e urla da stadio, mentre la confinante Chinatown stava a guardare senza ben afferrare cosa fosse successo. Me ne sono andata in giro con la mia maglietta patriottica, senza che per una volta i messicani mi prendessero per messicana.

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16 giugno 2008

Ma io che ci faccio qui?




Un paio di lettori hanno espresso curiosità circa i motivi che mi hanno portata a vivere a San Francisco; visto l'interesse inaspettato che mi ha fatto perfino esclamare "Wow, ho un pubblico!", ho deciso di riassumere la mia vita in una mini autobiografia col fast-forward, in modo da non annoiare nessuno. Come i più informati sapranno, sono nata a Salerno, città che amo (soprattutto per la scandalosa vicinanza alla costiera amalfitana) pur odiandone a morte gli abitanti. In cerca di una via di fuga dalla standardizzazione provinciale che mi imponeva di mettere i tacchi alti ogni volta che uscivo per andare a comprare il latte pena la radiazione dall'anagrafe cittadina, ho deciso di fare l'università a Napoli e poi un master a Roma in produzione e sceneggiatura dei cartoni animati. Questo mi ha portata -ancora non so come- a trasferirmi a Varese per lavorare per Vivendi Universal, sede italiana del famoso publisher di videogiochi francese. Scoperto dopo pochi mesi che Varese non faceva per me (come darmi torto?), ho deciso di restare nell'ambito dei videogiochi, questa volta come giornalista, e di ritrasferirmi a Roma lavorando per Play Press. Tralascio cinque anni potenzialmente divertenti ma tutto sommato noiosetti per arrivare al grande evento di marzo 2006: mi si offre la copertura di un evento stampa a Chicago. Dilemma: il videogioco in questione è un titolo di wrestling e si sa che il wrestling mi fa a dir poco orrore; d'altra parte ci sono cinque giorni in una città che non ho mai visitato. Indovinate cosa ha vinto? Evviva, si parte per Chicago! La seconda sera in terra americana c'è una cena per la stampa: ci sono italiani, tedeschi, inglesi, americani... e sì che sembra una barzelletta. Mi si siede accanto un tipo alto e grosso che a una prima occhiata etichetto come "piacevolmente brasiliano, forse cubano". Mi parla in una lingua che somiglia vagamente all'inglese, o perlomeno all'inglese britannico che io conosco, ma ha un accento californiano così marcato che devo chiedergli di ripetere le frasi quattro o cinque volte prima di capirle. Mi dice di chiamarsi Sterling, "like sterling silver". Mi chiedo in quale mondo sono finita e non trovo una risposta. Il tizio però è carino, premuroso e soprattutto dimostra un'inaspettata conoscenza del calcio italiano: avrò fatto colpo grazie alla mia t-shirt della Lambretta? La nostra conoscenza prosegue nei giorni successivi tra una visita al Field Museum (si si, quello coi dinosauri giganti), una partita di basketball dei Chicago Bulls, una passeggiata al parco e un evento stampa con i wrestler in persona. Finchè arriva il momento di tornare in Italia... e ora chi lo rivede più questo Sterling like sterling silver? Un italiano medio si sarebbe dato alla fuga e infatti è proprio questo che mi aspettavo dopo le mie recenti avventure con surfisti toscani completamente pazzi. E invece torno a Roma e mi ritrovo una sua e-mail, a cui seguono telefonate a raffica, una mia visita in California e una sua puntatina in Italia. Nel giro di sei mesi sono qui a San Francisco a dividere con questo Sterling like sterling silver un appartamento piccolo ma tutto sommato carino. Chi l'avrebbe mai detto che sarebbe finita così? Ci siamo sposati a febbraio del 2007, dieci mesi dopo esserci conosciuti, e ancora litighiamo su questioni fondamentali come il mio voler chiamare le code "queue" invece che "line". Lui intanto impara l'italiano, confondendo vistosamente "polpi" con "polpette". Nessuno è perfetto, ma ho scoperto che in due è più facile fare i conti con le imperfezioni.

NOTA: Questo post, che ha per me una certa importanza, non è stato scritto in un giorno qualsiasi ma nel mio giorno preferito dell'anno: il 16 giugno, Bloomsday.

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15 giugno 2008

La grande notte di Beckham


Ancora sabato, ancora calcio americano. Come se gli europei non bastassero (o forse proprio per non pensarci), abbiamo deciso di assistere a un'altra partita della nostra squadra locale, i San Jose Earthquakes. Ora, il fatto che sono ultimi in classifica dovrebbe dare un'idea abbastanza accurata del livello qualitativo di gioco... e meno male che si tratta della MLA, l'equivalente della Serie A italiana! Come se non bastasse, sabato i poveracci giocavano contro i Los Angeles Galaxies, una squadra tutto sommato anonima finchè non ha reclutato David Beckham. Come resistere al fascino di Beckham e dell'Inghilterra tutta, che di calcio ci capisce qualcosa pur non essendosi qualificata agli europei? Non si può, tant'è che lo stadio era pieno di donne urlanti in maglia numero 23 ('o scemo nella tombola napoletana, ma questo è un altro discorso). Insomma, per il 70% lo stadio tifava Galaxies... e gli Earthquakes giocavano in casa! Questo delirio da celebrità che trascende la fedeltà alla squadra di casa non riesco a capirlo, come pure non capisco un'altra allegra usanza americana, quella che "Non ho la maglia della mia squadra e nemmeno quella degli avversari, allora che faccio? Mi metto la maglia di una squadra qualunque, così la gente capirà che mi piace il calcio". Ed ecco proliferare maglie di squadre messicane, della nazionale americana, del Barca, perfino del Milan. Di tutto, pur di essere in tema. Mi sono sentita rapinata dei soldi spesi per il pur economico biglietto e ho trovato la mia unica consolazione nella grigliata del tailgate party. Ora, visto che questa barbara usanza ha incuriosito più di un lettore quando ne ho parlato, ho deciso di documentarla fotograficamente:

Il mini-barbecue da parcheggio con le salsicce (altrui).

Notare che i tifosi dei Galaxies sono costretti a portare enormi scritte "Herbalife" sulla maglia... contenti loro.

11 giugno 2008

Pensieri in ordine sparso

Russian River: Lo scorso weekend lo abbiamo passato in questa amena località, che si trova un'ora e mezzo a nord di San Francisco. Alcuni amici di Sterling avevano affittato un cottage a due passi dal fiume, dove si poteva fare il bagno e prendere il sole illudendosi di essere su una di quelle famose spiagge californiane che sono nell'immaginario di tutti tranne che dei californiani. Pare che il fiume si chiami così in memoria dei cacciatori russi che lo colonizzarono all'inizio del XIX secolo. Oggi di russo c'è solo la vodka che rallegra le serate dei villeggianti.

Carbonara vegan: Ancora grazie a Moky per la sua carbonara vegana, che ha poco da invidiare a quella vera sia nell'aspetto che nel sapore. Arriva proprio al momento giusto, visto che stiamo ancora cercando di disintossicarci da due settimane di cibo pesantissimo sulla East Coast. Per fortuna mi distruggo con Wii Fit ogni mattina, illudendomi di poter diventare magra come la mia istruttrice virtuale. Un pò meno poligonale, magari.

Euro 2008: Ma si può esordire con una partita come quella di lunedì? Mi vergogno anche solo a pensarci, figuriamoci poi se metterò il naso fuori casa venerdì per andare a vedere la prossima. Me la guarderò ben nascosta a casa, magari facendo le pizze fritte napoletane che a detta di mia madre hanno sempre portato bene all'Italia. Anche se ho l'impressione che più che le pizze ci vorrebbe un pellegrinaggio a Lourdes da parte di Donadoni...

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06 giugno 2008

Flashback #5: Erlene


Questo flashback è destinato a rimanere un flashback: posso sempre rivedere New York, Atlanta e la famiglia di Sterling, ma Erlene no. E' entrata nella mia vita il giorno del nostro matrimonio, mentre mi infilavo il mio vestito rosso, e ha iniziato a fare foto ovunque perchè era fatta così, la vita per lei passava attraverso l'obiettivo. Una delle persone più positive che abbia mai conosciuto, scherzava continuamente sul suo background etnico metà coreano metà tedesco e sugli stereotipi con cui la gente le si rivolgeva. Conoscendola so che non avrebbe voluto lacrime, perciò il modo migliore di ricordarla è forse attraverso uno degli episodi più divertenti che mi abbia raccontato:
Un giorno di qualche anno fa, nel profondo sud degli Stati Uniti, Erlene entra nel negozio di un distributore di benzina e dice al cassiere: "Il pieno alla pompa numero due, per favore, e poi vorrei una bottiglia d'acqua e un pacchetto di gomme". Un redneck di passaggio, che probabilmente non aveva mai visto un asiatico in tutta la sua vita, aggiunge ad alta voce: "And a bag of rice!".

Ecco, altre persone si sarebbero offese o vergognate per un episodio del genere, ma Erlene ne rideva con tutti, senza imbarazzo. La prossima volta che andremo a trovarla al cimitero di Columbus dov'è sepolta le porteremo di sicuro un mazzo di gigli bianchi, i suoi fiori preferiti... e un sacco di riso!

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05 giugno 2008

Flashback #4: Atlanta


Il giorno di Memorial Day, mentre eravamo in treno da Philadelphia a New York, abbiamo ricevuto la notizia che una persona a noi molto cara era morta in un incidente automobilistico in Virginia. Dopo la prima reazione di shock abbiamo deciso che non c'era altro da fare se non posticipare il rientro a San Francisco e prenotare un volo per Atlanta, da cui avremmo poi proseguito per Columbus, dove si sarebbe tenuto il funerale. Lottare con le varie compagnie aeree cercando allo stesso tempo di contenere il dolore non è stato facile, ma due giorni dopo siamo riusciti finalmente a partire. Nonostante il lutto e la tristezza generale, io sono e resto una persona curiosa: niente avrebbe potuto trattenermi dal guardarmi intorno, fare centinaia di foto e studiare attentamente la città in cui Sterling ha vissuto 14 anni della sua vita, una città diametralmente opposta a San Francisco. Atlanta è una giungla, non c'è altro modo per descriverla. E' una giungla di cemento e di enormi grattacieli corporativi, con autostrade futuristiche che la attraversano come vene. Ma è anche una giungla verde, che lotta contro il cemento per il possesso della città. I giardini delle case sembrano boschi selvaggi, i cespugli crescono a velocità incontrollabile e spruzzi di verde si aprono la strada tra muri e marciapiedi. Vecchie case in stile coloniale del sud riescono ancora a resistere all'invasione dei palazzoni a specchi che ormai stanno prendendo il sopravvento ovunque, ma i caratteri ben delineati del sud sono ancora percepibili nell'architettura, nell'aria umida e pesante, nel cibo profumato e così alieno. Atlanta è stata un'esperienza dei sensi, che mi ha riportato alla mente i romanzi di William Faulkner, allo stesso tempo attraenti e repulsivi. Diverse invece le persone, in particolare gli amici di Sterling, che ancora portano le tracce di quella cortesia formale del sud impossibile da ritrovare in California. Atlanta è un posto in cui non vivrei mai, nonostante la sorella di Sterling abbia cercato di farci il lavaggio del cervello in questo senso, ma visitarla è stata una delle mie esperienze più affascinanti negli Stati Uniti.

Il memoriale di MLK

Una casa i cui proprietari riescono incredibilmente a contenere la vegetazione

Stand di frutta e verdura con le famose pesche della Georgia

Jetta, la sorella di Sterling

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Flashback #3: Matrimonio e famiglia


Il matrimonio di Todd e Christine è quanto di più lontano si possa immaginare dal nostro: noi in quindici su una spiaggia battuta dalla pioggia a febbraio, loro in più di cento in una tenuta di campagna che sembrava uscita da un film. Ovviamente non c'era da aspettarsi niente di meno da due famiglie per bene del New England. Li ho osservati attentamente: non ce n'era uno che non avesse gli occhi azzurri o i capelli biondi. Come si sarà sentito Sterling da piccolo, vedendo che il resto della sua famiglia non gli somigliava per niente? Avrà avuto la sindrome da Calimero? Nonostante questo, mi sono sembrati tutti molto uniti ed estremamente felici di averci lì con loro. Niente drammi all'italiana di suocere e nuore che si odiano, niente liti ataviche tra fratelli. Una sensazione tutto sommato piacevole, quella di sapere che lontano lontano in Pennsylvania abbiamo una famiglia che ci vuole bene. E qui mi sono accorta di quanto falsata sia l'impressione degli Stati Uniti che mi sono creata vivendo a San Francisco. Tutti si trasferiscono qui per studio o per lavoro, tutti sono ggiovani e hipster, nessuno sembra avere genitori o parenti, i bambini non esistono. Per vedere l'America delle famiglie bisogna andare lontano, nei sobborghi residenziali o nelle cittadine più piccole: lì si, ci sono case col garage, tagliaerba e macchinoni familiari. Qui a San Francisco no, perchè è la terra dell'eterna giovinezza: ma quanto si può vivere così?

Todd e Christine: lei sembrava un pò Maria Antonietta...

La famigghia al completo, con cugini, mogli e Aunt Joan a destra

Il nipotino Mason, nome del cavolo ma personalità da comico TV

Ancora noi

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04 giugno 2008

Flashback #2: Pennsylvania




Dopo lo stress di New York, la Pennsylvania è arrivata come una mano santa, perdonatemi la romanità. Per andare a Philadelphia ci siamo lanciati nell'avventura del "Chinatown Bus", una linea di autobus che collega le Chinatown delle principali città della East Coast a prezzo stracciato. Da lì abbiamo preso un treno locale per Malvern, il paesino a nord-ovest di Philadelphia dove vive la zia di Sterling, Aunt Joan. Sterling dice che la parte di me che preferisce è quella in viaggio in posti nuovi, perchè mi guardo intorno con gli occhi spalancati e faccio un milione di domande. E' vero, la Pennsylvania mi ha fatto questo effetto perchè è completamente diversa dall'America che ho visto finora: una campagna verdissima a metà tra l'Inghilterra e la Toscana, stupende tenute di pietra, mucche e pecore ovunque. Per forza, mi hanno spiegato che eravamo ad appena 15 minuti dalla comunità Amish! Il solo sentir nominare gli Amish mi ha fatto un effetto da film, è una di quelle cose che si sentono in TV ma che non si pensa mai di poter vedere dal vivo. Questa volta eravamo troppo impegnati con il matrimonio, ma Aunt Joan ha promesso che mi porterà a vederli la prossima volta che andremo a trovarla. Siamo andati a dormire benedicendo il silenzio, la fantastica casa a due piani di Aunt Joan, la vista sui boschi e i conigli che saltellavano liberi tutto intorno. Meritato riposo prima del matrimonio!

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03 giugno 2008

Flashback #1: New York


Siamo finalmente tornati a casa dopo dodici giorni di alterne vicende, alterne compagnie e stati d'animo diametralmente opposti. Dodici giorni, tre città, un matrimonio e un funerale: potrebbe essere il titolo di un nuovo film di Mike Newell. Riassumere non è facile, ma come sempre ho tante foto da commentare e raccontare. Partiamo da New York, città da cui mancavo da ben dieci anni. L'ultima volta che ci sono stata le torri gemelle erano ancora in piedi e godevano di ottima salute, Williamsburg era un'area di Brooklyn deprimente e abitata da vecchi italiani e Nintendo non aveva un negozio stilosissimo alle spalle del Rockefeller Center. New York cambia e si evolve alla velocità della luce, ma alcune cose restano le stesse, nel bene o nel male.
Broadway: Times Square sarà pure un carnaio, ma Brodway rimane sempre Broadway. Per $50 (meno della metà del prezzo ufficiale) ci siamo aggiudicati un biglietto in posizione centralissima per uno spettacolo serale e siamo andati a vedere "A Chorus Line", uno dei miei musical preferiti. Perfino Sterling, che non ama il genere, mi ha ringraziata alla fine per aver insistito. L'esperienza più newyorkese che potessimo fare! SF-NY: 0-1
Fattore stress: Martelli pneumatici in strada all'una di notte e traffico così rumoroso che anche al sesto piano di un palazzo sembra di stare sul marciapiede. A meno che non sia ricco sfondato, a Manhattan vivrai una vita di perenne rumore. Senza contare i tempi di trasferimento lunghissimi, le masse umane che ti trascinano sulla piattaforma della metropolitana e topi grandi come chihuahua. Ridatemi la mia casetta di San Francisco con vista su quattro parchi e silenzio annesso. SF-NY: 1-0
Ristoranti: Presi da un eccesso di entusiasmo, abbiamo tralasciato deli e bagel e ci siamo concentrati sul cibo impossibile da trovare qui a San Francisco: ristoranti turchi, giamaicani e soul sono stati quelli in cui ci siamo autoflagellati con enormi porzioni di cibo ottimo e altrettanto pesante. D'altra parte, però, i ristoranti messicani, vietnamiti e asiatici in generale di San Francisco sono imbattibili. SF-NY: 1-1
Abbigliamento: Quando ho rimesso piede a New York, mi ero quasi dimenticata cosa volesse dire camminare per strada e vedere persone eleganti e ben vestite. E' stato una specie di ritorno alla ragione: ma allora il resto del mondo sa abbinare i colori e capisce che un uomo in jeans elasticizzati da donna va punito con i lavori forzati! E i negozi sono così belli che li avrei svaligiati uno per uno. SF-NY: 0-1
Igiene: A San Francisco ci avremo pure gli homeless a ogni angolo di strada, ma New York non me la ricordavo così sporca. Sacchi di spazzatura sui marciapiedi, ratti che invadono la metropolitana e un'aria grigia e pesante che si posa su tutto, complice anche la cappa di umidità. La prima cosa che ho fatto una volta atterrata a San Francisco è stata respirare a fondo l'aria fresca e pulita e mettermi una giacca in più per non morire di freddo. SF-NY: 1-0
Little Italy: O "Little Mafia"? I Sopranos hanno dato l'ultima mazzata alla reputazione italiana sulla East Coast: nello spazio limitato di quei due isolati striminziti di Little Italy che ancora resistono all'invasione cinese proliferavano negozietti di souvenir cafoni che esibivano false targhe automobilistiche inneggianti a "Godfather", "Goodfellas" e "Mafia" (quest'ultimo semplice e diretto, senza fronzoli hollywoodiani). Al confronto la nostra North Beach è un angolo di Italia incontaminato, peraltro con sfogliatelle e babà niente male. SF-NY: 1-0
Sex and the City: Potevo anche vederlo qui a San Francisco, ma volete mettere andare al cinema a New York in compagnia di cinque amiche? Non ho mai visto una sala così piena di donne, gli uomini saranno stati quattro o cinque al massimo. Sembrava di essere a un raduno femminista o al reparto cosmetici di Macy's... un'esperienza indimenticabile! SF-NY: 0-1
Fatevi due conti e capirete perchè viviamo a San Francisco e non a New York. Non nego il fascino della metropoli, ma cinque anni a Roma mi hanno deprivata di qualsiasi interesse nei confronti di una città con tempi di trasferimento più lunghi di 30 minuti.

Times Square con l'invasione dell'attempato Indiana Jones e degli attempati New Kids on the Block

Tutti in tiro per Broadway, peccato che i turisti del Mid-West rovinassero l'atmosfera sfoggiando shorts e sandali francescani...

Panorama di downtown dalla costa del New Jersey (Moky, ti ho pensata e compatita!)

Senso pratico newyorkese

Union Square in un glorioso tramonto

Ancora tramonto, perchè queste sono le foto che mi sono venute meglio

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