Games and the City

Vita a Los Angeles, videogiochi e tante altre cose che non c'entrano niente

20 dicembre 2009

Frankie Goes to Hollywood


Mia sorella si chiama Francesca all'anagrafe, ma per tutti è Frankie da quasi quindici anni, da quando cioè la nostra sciura ospitante a Londra aveva cercato senza successo di chiamarla con il suo nome per esteso per un mese di fila, puntualmente ripiegando sul diminutivo inglese che le veniva più facile. Dopo due anni e mezzo di assenza dagli Stati Uniti, Frankie ha deciso di graziarci con la sua presenza e di provare di persona la vita glamour di Los Angeles. La città ha reagito bene alla visita: clima mite, ottimi prezzi nei negozi di moda, splendide decorazioni natalizie a Rodeo Drive. Frankie è ripartita soddisfatta, con due valigie enormi zeppe dei suoi trofei di shopping e un pacco aggiuntivo da spedire, giusto per ribadire il potere di acquisto dell'euro sul dollaro. La mania da shopping ha contagiato perfino Sterling, normalmente refrattario ai centri commerciali, che ha inspiegabilmente deciso di rifarsi il guardaroba all'outlet di Calvin Klein. Unica esclusa la sottoscritta, la quale generalmente preferisce fare incetta di vestiti in Europa, dove può spaziare tra piccole marche sconosciute e abbigliamento etnico. Shopping a parte, la visita di Frankie è stata un balsamo come sempre: non conosco persona più tranquilla e accomodante di mia sorella, pronta a fare amicizia con tutti nonostante un inglese un pò traballante e a dare sempre una mano in casa nonostante la si preghi di sedersi e riposarsi, che in fondo è in vacanza. Tornata in Italia, ha finalmente iniziato il corso in criminologia a cui si è iscritta da poco e che rappresenta il suo grande sogno professionale. Frankie sarà anche una maniaca dello shopping con un fisico da modella e un passato da cubista, ma l'assistenza sociale è la sua vita quotidiana e il mondo criminale in generale un'attrazione a cui non sa resistere. Contraddizioni della psiche umana che io, da professionista dell'industria dei videogiochi con incursioni nella cucina e nel punto croce, non mi sognerei mai di criticare. Frankie è uno degli esseri umani più interessanti che conosco e una delle mie più grandi soddisfazioni è osservarla forgiare il suo futuro con determinazione, macinando gli ostacoli come se fosse la cosa più facile del mondo, senza scendere a compromessi e senza mai prendersi troppo sul serio. Il tutto, ovviamente, dall'alto dei suoi dieci centimetri di tacco.


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07 ottobre 2009

Storie romantiche dal mondo digitale


Capita a volte, in una domenica ventosa e poco movimentata, di decidere di fare un salto a IndieCade, una convention di sviluppatori indipendenti che promette di essere l'evento alternativo del weekend. Capita di scambiare due chiacchiere con personaggi più o meno noti dell'industria dei videogiochi e di essere invitati a un barbecue da una designer con cui il mio mentore mi aveva messa in contatto, ma che non avevo mai incontrato di persona. Capita, tra un hamburger e un portabella mushroom grigliato, di guardarsi intorno e di scoprire che si è circondati da sviluppatori provenienti da Giappone, Argentina, Austria e sì, anche dal lontano Iowa. Capita poi che il giapponese in questione sia uno dei designer più amati da me e Sterling, uno dei pochi che mette d'accordo i nostri gusti diametralmente opposti in fatto di videogiochi. Ed è a quel punto che succede una cosa inaspettata. Il designer, che chiameremo Keita (come d'altronde fanno tutti, visto che è il suo nome all'anagrafe), riconosce Sterling e gli corre incontro, poi vede me e quasi si commuove. La conoscenza risale a qualche mese fa, quando Sterling aveva incontrato Keita per un'intervista, ma quello che mi sfugge è ciò che si sono detti in quell'occasione. Scopro che Sterling gli ha spiattellato la toccante storia (verissima, tra l'altro) di come sia io che lui avessimo recensito un gioco di Keita ancor prima di incontrarci, di come io avessi per caso letto l'articolo di Sterling e avessi pensato che quel giornalista lontano e sconosciuto fosse proprio sulla mia lunghezza d'onda. Un filo sottile ma lunghissimo che, attraverso un oceano e un continente, ci vede oggi felicemente sposati. Ebbene, a Keita questa storia di come un suo gioco abbia contribuito a unire due persone è rimasta impressa per mesi, magari gli ha anche fatto riconsiderare il suo lavoro sotto una luce diversa. Ed è proprio questo che oggi mi ha colpita: come una forma di intrattenimento a detta di molti fredda e priva di un'anima possa nascondere così tanta umanità. Come ogni gioco che creiamo, che recensiamo, possa in qualche modo influenzare le vite di tanti, nel bene o nel male. Di questo cercherò di ricordarmi più spesso quando eseguirò un lavoro controvoglia, magari riguardando il sorriso autentico di quella foto con Keita.

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30 settembre 2009

La risposta è: Giappone (di nuovo!)

I pochi che hanno provato a indovinare non ci hanno preso. Quello della foto precedente non era un Buddha thailandese ma il Dai-Butsu, la statua di Buddha più grande del Giappone che si trova a Kamakura, un'ora a sud di Tokyo. E dove altro potevamo andare in questo periodo dell'anno? Il lavoro chiama, il Tokyo Game Show è sempre più attivo (anche se sempre meno pieno di novità) e tutte le scuse sono buone per abbuffarsi di cibo giapponese nella madrepatria. Questa volta gli impegni di lavoro erano minori e ho avuto la possibilità di incontrare amici sia e nuovi con cui mi sono divertita a esplorare posti che da turista non avrei probabilmente visto. Volevo aggiornare il blog quotidianamente da lì, ma la pessima connessione e un improvviso rallentamento del mio portatile (che sembra intenzionato ad abbandonarmi presto) non me lo hanno permesso. Ecco quindi un riassuntone completamente a casaccio.

Shibuya: Il quartiere dove eravamo quest'anno. Enorme, affollatissimo sia di giorno che di notte e pieno di negozi. Non poteva ovviamente mancare il campo di calcetto in cima a uno degli edifici della stazione.

Crepes giapponesi: Hanno subito una evoluzione parallela rispetto a quelle originali francesi e ora contengono un pò di tutto, dai pezzi di cheesecake alla frutta e al gelato. Sono buonissime!

Piccoli kimono: La bambina era fantastica nel suo kimono colorato, la mamma un pò meno nel suo abbigliamento occidentalissimo...

Kamakura: All'entrata di uno dei templi principali c'era uno stagno con le ninfee degno di un quadro impressionista.

Penelope e il caffè: Ogni anno una celebrità occidentale riesce a infiltrarsi in Giappone per pubblicizzare una marca a caso di caffè. L'anno scorso era il turno di Tommy Lee Jones, quest'anno invece toccava a Penelope Cruz.

Hama-Rikyu-Teien: Una volta era la residenza privata degli shogun, oggi è un parco pubblico non troppo affollato, da cui partono diverse linee di traghetti.

Okonomiyaki - prima fase: Gli ingredienti arrivano al tavolo in diverse ciotole, i clienti li mescolano e li cuociono sulla griglia personale. Ci sono vari tipi di okonomiyaki: questo era in stile Hiroshima, cioè con i noodles, ed era decisamente diverso da quelli che ogni tanto si trovano negli Stati Uniti.

Okonomiyaki - fase finale: Una volta cotto il "frittatone" ci si possono mettere sopra vari tipi di salse, per esempio un quintale di maionese.

Odaiba: Sull'isoletta di Odaiba (opportunamente costruita sulla spazzatura) prima torreggiava una statua colossale di Gundam. Ora che l'hanno tolta c'è rimasta solo questa replica della Statua della Libertà che mi ha onestamente lasciata un pò perplessa. Che vorrà mai dire?

Akihabara: Nel distretto elettronico per eccellenza i negozi di videogiochi e le sale giochi non mancano. Questa insegna non potevo non fotografarla, visto che ha un fantasma di Pac-Man con il cappello di Mario. Credevo fosse permanentemente incollato alla testa di Mario ormai da decenni...

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22 settembre 2009

Dove siamo?


Una pacca sulla spalla virtuale a chi indovina per primo. (E vabbè che è facile e che molti di voi lo sanno già...)

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16 settembre 2009

In realtà non me ne sono mai andata...


Ho ricevuto un paio di email preoccupate da parte di amici che abitano lontano e che non mi vedono su questo blog da un paio di mesi, perciò ho deciso di riprendere la tastiera per scrivere qualcosa... cosa esattamente non lo so nemmeno io. Se non aggiorno il blog da un pò di tempo non è perchè mi siano successe chissà quali disgrazie. Al contrario, se non scrivo è perchè non mi succede proprio nulla. La vita sedentaria e la mancanza di viaggi mi annoiano fino alla morte, ma è proprio quello che sta succedendo in questo periodo. Ovvio, ci siamo trasferiti da poco in una nuova città e stiamo ancora cercando di ambientarci e (soprattutto!) di comprare una macchina, cosa che renderebbe la nostra vita un pò più varia. Nell'attesa della svolta, però, facciamo vita di quartiere e di piscina. Non posso definirmi insoddisfatta, questo no, però mi manca la varietà di scenari e di umanità a cui San Francisco mi aveva abituata. Il nostro quartiere di Los Angeles è un pò troppo bianco e occidentale per i miei gusti, anche se fa quel che può per darsi una botta di varietà multiculturale (una sala da concerti coreana, un ristorante fusion indiano-messicano, un piccolo e carinissimo caffè giapponese all'angolo). In questa metropoli poco accessibile per un pedone ho perso anche i miei punti di riferimento quotidiani: non saprei proprio dove comprare cose banali come il lievito di birra, il guanciale per la carbonara o una ricotta che non abbia la consistenza dello Yocca. Lo so, ci vuole pazienza, ma io sono una persona notoriamente sprovvista di questa virtù. Di una cosa, però, posso dirmi completamente soddisfatta: gli italiani che ho conosciuto a L.A. danno decisamente una pista a quelli di San Francisco. Sarà che nella Bay Area erano quasi tutti un pò intellettualoidi e dotati di fenomenali borse di studio, quindi tutto sommato poco interessati all'amicizia con una giornalista freelance che scrive (orrore!) di videogiochi. Ora che anche Fabrizio si prepara a lasciare la Baia, mi sentirei veramente a corto di italiani interessanti da frequentare se vivessi ancora lì. Qui, invece, l'archetipo del ricercatore universitario viene sostituito da quello del cameriere aspirante attore. E' una categoria che non frequento, ma al di fuori di questo ambito ho conosciuto blogger e commentatori abituali con cui sono andata subito d'accordo. Ho visto disponibilità, gentilezza e voglia di frequentarsi senza che l'iniziativa partisse sempre da me, ho partecipato a conversazioni che si spingevano oltre la formalità delle solite domande come "Da quanto tempo vivi negli Stati Uniti? Come mai ti sei trasferita qui?". Ho visto la realtà quotidiana di persone che qui ci vivono e che stanno più o meno faticosamente cercando di costruirsi una vita, una carriera e una famiglia. Ho trovato supporto e voglia di aprirsi e mi sono sentita un pò più vicina a quella parte "buona" dell'Italia che un pò mi manca, soprattutto dopo aver dovuto saltare la classica visita annuale alla famiglia. Con queste basi credo che riuscirò a sopportare anche la temporanea mancanza di mezzi di trasporto propri (e su quelli pubblici prima o poi scriverò un post a parte, che ce n'è da raccontare!).

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24 giugno 2009

Day Trip a San Diego



Nonostante sia a sole due ore da qui, a San Diego non c'ero mai stata fino a domenica scorsa. E dire che la giornata era iniziata in modo completamente diverso. Io e Sterling eravamo al mercato di Hollywood a fare shopping sfrenato di frutta e verdura californiane, quando riceviamo una telefonata che ci comunica che un caro amico di Atlanta è a San Diego per lavoro. Del tutto ignaro della geografia californiana (come d'altronde molti altri americani), il povero Steven non immaginava che fossimo così vicini e non aveva pensato di avvertirci per tempo. E così abbiamo scaricato frutta e verdura a casa in tempi record e siamo saltati sulla Mini di Steven #2 (pare che gli amici di Sterling abbiano tutti lo stesso nome), direzione sud. Per me, che non ero mai andata oltre Costa Mesa, la parte bassa di Orange County è stata una sorpresa inaspettata. Abituata com'ero agli anonimi complessi residenziali e ai centri commerciali intorno a Anaheim, non mi aspettavo chilometri di costa completamente inabitata e affacciata su un Pacifico in forma smagliante. Sono sempre i road trip a ricordarmi quanto gli immensi spazi americani mi siano cresciuti dentro in appena un paio d'anni, quale senso di liberazione possa creare anche solo mezza giornata al di fuori della città. San Diego si è comunque rivelata interessante, con spiagge fantastiche, un bel centro "storico" con i lampioni a gas e una baia densa di isolette e ponti. La cosa migliore è stata ovviamente rivedere Steven, che ci ha intrattenuti con l'incredibile racconto della sua esperienza sciamanica sulle Ande peruviane!

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18 giugno 2009

Punti di vista

Parlando al telefono con una mia amica:
Io: "...e ultimamente sono tornata al punto croce, che avevo lasciato da un pò"
Lei: "Come sei antica"
Io: "In realtà sto facendo una schermata di Pac-Man gigante"
Lei: "Come sei geek"

In realtà il punto croce mi diverte, mi rilassa e soprattutto mi distrae dalle prodezze pugilistiche di Sterling, che ormai non fa altro che giocare a Fight Night 4 ogni sera perchè la recensione è imminente. GreenPixels mi ha perfino commissionato un articolo su arts & crafts applicate ai videogiochi, segno evidente che non sono sola a questo mondo. Stavo anche pensando di comprare una macchina per cucire e trovare qualcuno che mi insegni a usarla, così i miei capolavori avranno finalmente un uso pratico (Pac-Man per esempio dovrebbe diventare un cuscinone per il salotto).

Parlando di cose completamente diverse (ma sempre legate ai videogiochi), ho trovato un mentore. O meglio, un mentore ha trovato me. E' notizia ormai abbastanza ufficiale il fatto che sto tentando un cambio di carriera, dal giornalismo alla localizzazione/traduzione di videogiochi. E' un processo abbastanza difficile, perchè le compagnie di localizzazione guardano con sospetto le nuove leve, sempre timorosi che gli si voglia rubare il lavoro. Sto andando un pò a tentoni e traducendo tutto quello che mi capita sottomano, anche gratis pur di farmi un nome (la mia traduzione italiana di questo bellissimo gioco è stata pubblicata proprio ieri, a proposito: dategli un'occhiata e se non sapete come risolverlo chiedetemi pure). Qualche giorno fa ho deciso di rivolgermi a Women in Games, un'associazione di cui faccio parte insieme alle altre 800 povere anime che costituiscono la minoranza delle donne in questa industria. Pare che la cosa abbia funzionato, perchè dopo poco ho ricevuto un'email da un veterano dell'industria, che si è offerto di aiutarmi nel mio cambio di carriera mettendomi in contatto con le persone con cui ha lavorato in passato e che potrebbero tornarmi utili. Il tutto al solo scopo filantropico di aiutare una donna a farsi strada in un settore quasi completamente dominato dagli uomini. La cosa divertente è che mi sono resa conto di conoscerlo benissimo questo veterano, almeno di fama: è stato l'autore di Indiana Jones and the Fate of Atlantis, Secret of Monkey Island, Day of the Tentacle e di tanti altri titoli celebri degli anni '90 che ho giocato accanitamente insieme a mia sorella, strizzate in due sulla poltrona dello studio di mio padre. Mia madre ci guardava, sorrideva e scuoteva la testa: non avrebbe mai potuto immaginare che quei giochi sarebbero stati la mia salvezza quindici anni dopo...

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